sabato 11 febbraio 2017

L’India lancia l’idea di un reddito di base universale


L’India lancia l’idea di un reddito di base universale

L’ 8 novembre non è stato solo il giorno dell’elezione di Donald Trump. E’ stato anche il giorno in cui gli Indiani hanno scoperto che la maggior parte delle banconote avrebbero perso ogni valore se non cambiate prontamente.  Da allora, molti si aspettano che la loro pazienza nel sopportare il caos conseguente venga ricompensata in qualche modo.  Il contante “rottamato” non versato dai presunti evasori potrebbe essere impiegato in un pagamento in unica soluzione a ciascun cittadino? O il bilancio annuale di previsione, presentato il primo febbraio, potrebbe essere pieno di elargizioni in vista di una serie di elezioni politiche? Alla fine, il budget è stato ridotto all’osso. Ma l’attenta “indagine economica” del governo, resa nota il giorno prima, accennava ad un omaggio ben più consistente in programma: un reddito di base universale destinato ad ogni singolo Indiano.

L’idea di un erogare contanti ai cittadini senza tener conto della loro  condizione economica è vecchia di secoli. E’ tornata in auge di recente in alcuni Paesi ricchi, sia tra gli intellettuali di sinistra (che apprezzano i suoi aspetti redistributivi), sia tra gli avversari di destra (che pensano possa portare ad una minore interferenza dello Stato). 

L’idea ha avuto i suoi sostenitori in India.

La sua inclusione nel rapporto annuale, terreno di coltura per le politiche sociali, redatto dal principale consigliere economico del governo, il prof.A. Subramanian, fornisce un nuovo campo di riflessione sia per i sostenitori della misura, sia per i suoi oppositori. Un reddito di base universale di solito viene discusso in termini astratti. Ora si propone un importo preciso: 7.620 rupie all’anno ($113). Equivalgono a meno del salario mensile minimo di un lavoratore di città, ben al di sotto di quanto sarebbe necessario per condurre una vita dignitosa. Ma ridurrebbe drasticamente la povertà assoluta dal 22% a meno dello 0,5%. I vantaggi del reddito di base universale sono evidenti.

Subramanian delinea anche un quadro di come reperire le coperture. Essenzialmente, il denaro dovrebbe provenire dal reimpiego di fondi dei circa 950 progetti di welfare già esistenti, inclusi quelli che offrono sussidi per il cibo, l’acqua, i fertilizzanti e molto altro ancora. Tutti insieme questi ammontano a circa il 5% del PIL, che è quanto egli ritiene possa costare la sua versione del reddito di base. Cominciare invece un programma simile da zero assorbirebbe circa la metà del budget annuale del governo centrale, tanto è pietoso lo stato del gettito delle imposte dirette in India.

L’India è desiderosa in teoria di aiutare i suoi poveri, ma non sa farlo in concreto. Oggi molti dei sussidi finiscono nelle mani di persone relativamente ricche, che magari possono permettersi di viaggiare in treni con l’aria condizionata o di usare il gas da cucina, in grado di corrompere i burocrati che hanno il compito di decidere a chi assegnare i sussidi. Compensi  “in natura” vengono rubacchiati da intermediari che troverebbero più difficile accedere ai pagamenti effettuati sui conti bancari dei beneficiari.

Subramanian riconosce che sarebbe difficile gestire la transizione ad un nuovo sistema. In gran parte dell’India, i cittadini devono percorrere almeno 3 km per raggiungere una banca. I pagamenti digitali sono ancora una scelta minoritaria. Inoltre, un vantaggio della proliferazione dei progetti di welfare è che se uno di loro non va a buon fine, altri potrebbero.

Un altro ostacolo è che anche un buon numero di milionari beneficerebbero di un reddito di base veramente universale. Dire ad un agricoltore poco istruito che il progetto che ha usato per decenni viene abolito per finanziare un programma che lo metterà sullo stesso piano di un magnate che vive in una casa di 27 piani, non porterebbe voti.  In verità, la proposta di Subramanian si ferma un po’ prima della vera universalità: perché  le  cifre quadrino, l’applicazione deve essere limitata al 75% degli Indiani. Ciò significa o un ritorno all’aleatorio accertamento delle condizioni economiche, o una speranza che i più abbienti rinuncino volontariamente.

Attuare un reddito di base universale sarebbe più facile in India essenzialmente in un modo: dando i soldi direttamente ai beneficiari. Oltre un miliardo di Indiani oggi hanno delle carte d’identità biometriche, note come Aadhaar. Il sistema può gestire denaro, di solito riversando i pagamenti in entrata su un conto bancario collegato ad un numero Aadhar. Un’erogazione di  contante a tutti i cittadini iscritti al progetto sarebbe una via praticabile per distribuire il denaro – sebbene questo comporti che ognuno riceve qualcosa, inclusi i più benestanti.

Ci vorrà tempo prima che 1,3 miliardi di Indiani ricevano questi soldi. Per quanto Subramanian sia entusiasta, conclude che il reddito universale è “un’idea forte il cui tempo non è ancora maturo per la sua attuazione, ma lo è quanto meno per una seria discussione”.

Per ora il governo è concentrato sul suo antico obiettivo del deficit al 3%, che si aspetta di mancare di 0,2 punti percentuali l’anno prossimo, e sulle conseguenze della “demonetizzazione”. Ma l’idea non verrà accantonata, siccome sarebbe un modo rapido ed efficace per diminuire notevolmente la povertà.

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