mercoledì 30 dicembre 2015

Il silenzio è assordante


Il silenzio è assordante

13.000 obbligazionisti perdono oltre 850 milioni di euro. 1.500 dipendenti finiscono in mezzo ad una strada. I numeri sono da capogiro, e superano di gran lunga quelli degli obbligazionisti “traditi” da CariChieti, Banca Marche, Banca Etruria e CariFerrara. La notizia è di qualche anno fa e ormai pare dimenticata. Sto parlando del fallimento della Deiulemar, Compagnia di Navigazione SpA di Torre del Greco, città che conta circa 90mila abitanti.

13 obbligazionisti su 90mila abitanti vuol dire che almeno un abitante su dieci ha sottoscritto un’obbligazione Deiulemar e, quindi, che questo fallimento ha messo in ginocchio tutta l'economia torrese.

Com’è possibile che sia accaduto? La risposta va ricercata nella storia di un territorio legato alla marineria ed alla pratica del "carato".

La Deiulemar per 40 anni è stata il fiore all’occhiello della marineria di Torre del Greco. Tutto procedeva bene, almeno fino al 2010, quando la società dichiarava un fatturato di un miliardo di euro l’anno. Ad un certo punto il meccanismo si inceppa e nel maggio del 2012 il tribunale di Torre Annunziata accoglie l'istanza di fallimento di sette creditori per un importo di soli 250mila euro. E' uno choc per tutti i risparmiatori. Vengono scovati dai curatori, chiamati a fare chiarezza tra i conti, almeno due tipi di certificati. Oltre infatti alle classiche obbligazioni, regolarmente iscritte nei registri, era diffusa tra i risparmiatori, compresi i dipendenti stessi della compagnia, una quantità non ben definita di “carati”. Questi ultimi non sono altro che il retaggio di un sistema di finanziamento diffuso nel campo armatoriale e rappresentano una quota partecipativa (un ventiquattresimo) delle proprietà di una nave. 

Qualche mese fa è emerso, nel corso di un incontro presso il Tribunale di Torre Annunziata, che l'attivo al momento sarebbe in grado di soddisfare solo lo 0,6% del debiti complessivi della Deiulemar, secondo stime fatte dai curatori fallimentari. Praticamente : ZERO.

Il silenzio su questa vicenda, leggendo i giornali delle ultime settimane, è, francamente, assordante.

mercoledì 23 dicembre 2015

Babbo Natale regala le notifiche alla Befana


Babbo Natale regala le notifiche alla Befana

Equitalia ha deciso di sospendere l’invio di cartelle e atti nel periodo natalizio, dal 24 dicembre al 6 gennaio. Una vera e propria novità, mai registrata nei dieci anni di vita dell’Ente. Il provvedimento, fortemente voluto dall’amministratore delegato Ernesto Maria Ruffini, coinvolgerà migliaia di famiglie e imprese italiane. Per ovvi motivi sono esclusi dalla disposizione gli atti inderogabili, vale a dire quelli per cui non è possibile applicare sospensioni, che verranno pertanto regolarmene recapitati. Per renderci conto della portata di questa decisione, proviamo a fare qualche numero. Nel corso del 2014 Equitalia ha spedito circa 30 milioni di atti, la metà dei quali cartelle, che hanno raggiunto mediamente 300mila contribuenti a settimana.  I documenti spediti in queste settimane saranno invece poche migliaia, a fronte dei 250mila previsti.

Ruffini spiega che la decisione è stata presa per venire incontro alle famiglie e alle imprese italiane, che di certo non vedono di buon occhio la società partecipata dall’Agenzia delle Entrate e dall’Inps, duramente contestata in questi anni di crisi. «Equitalia vuole essere dalla parte degli italiani, non contro. Il recupero dell’evasione rimane un punto fondamentale, così come lo è avere gli italiani al proprio fianco» - precisa lo stesso Ruffini - che definisce il provvedimento come un “atto di attenzione”. Uno degli strumenti più importanti in quest’ottica è la rateizzazione. Ad oggi circa la metà dei debiti vengono rateizzati e le nuove norme hanno ulteriormente semplificato l’accesso alla procedura, a dimostrazione del fatto che è possibile trovare soluzioni specifiche per tutti, in particolare per chi è in difficoltà. Molte operazioni inoltre potranno essere svolte direttamente online, attraverso il sito istituzionale di Equitalia. Si potrà, ad esempio, richiedere la rateizzazione, saldare debiti o sospendere temporaneamente le riscossioni.

Un’altra novità riguarderà i sistemi di comunicazione con l’Ente. Aziende e imprese dovranno utilizzare la posta certificata, che sarà obbligatoria per ricevere ogni atto o cartella, possibilità allargata anche ai privati che ne faranno richiesta. Questo consentirà di snellire enormemente le procedure e di ridurre in maniera drastica la mole di documenti cartacei inviati finora per posta.

Non resta che attendere l’arrivo della Befana.

mercoledì 16 dicembre 2015

Falliscono 4 banche ! Cosa può fare il risparmiatore per proteggersi ?

Falliscono 4 banche ! 
Cosa può fare il risparmiatore per proteggersi ?

Le banche ricoprono senza dubbio un ruolo essenziale in economia e il fallimento incontrollato di un istituto di credito creerebbe danni enormi. Sopratutto ai clienti “buoni” : alle famiglie che ottengono un mutuo per comprare casa, ai piccoli risparmiatori che depositano i propri risparmi, alle aziende che ottengono prestiti per portare avanti l’attività. Per questo motivo il 22 novembre il governo, emanando il decreto "Salva Banche", ha stanziato 2,3 miliardi di euro per salvare dal fallimento quattro istituti da tempo commissariati : Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, Carichieti.

Perché una banca rischia il fallimento ? Quasi sempre perché ha concesso in passato “cattivi” prestiti. A chi non li meritava ovvero a chi li meritava ma, in seguito ad una crisi, non è più in grado di rimborsarli. A lungo andare, quando la mole dei crediti inesigibili diventa insostenibile una banca rischia il fallimento. Ad esempio, la sola Banca Etruria registrava lo scorso febbraio sofferenze per 2 miliardi: circa il triplo del suo capitale sociale.

Nel passato, in casi del genere, è stato lo Stato ad intervenire. Negli anni 90, la crisi del Banco di Napoli si risolse infatti con l'approvazione della legge n.588/1996 e l'intervento del Tesoro che ricapitalizzo il Banco, ovviamente con azzeramento del capitale sociale. Oggi tutto ciò non è possibile perché un'operazione così congegnata è un "aiuto di stato". Oggi, o meglio, dal primo gennaio, si applica la normativa europea sulla risoluzione delle crisi bancarie, il famoso bail in (per un approfondimento vi segnalo il mio post Bail-in: dal 2016 salvataggi delle banche a carico dei «privati»), di cui  il citato decreto "Salva Banche" è un'anticipazione.

Con il "Salva Banche" a rimetterci sono stati gli azionisti e i detentori di obbligazioni subordinate. Il caso ha conquistato le prime pagine dei giornali quando un piccolo risparmiatore si è purtroppo suicidato avendo investito tutti i propri risparmi su un'obbligazione subordinata emessa da Banca Etruria. E ciò dopo le vicende Argentina, Parmalat, Cirio, Lehman Brothers.

Cosa può fare il risparmiatore per proteggersi ? Diversificare (rimando al mio post di un mese fa: Obiettivo, evitare forti perdite). 

mercoledì 9 dicembre 2015

Fed, stavolta ci siamo


Fed, stavolta ci siamo

Questa sembra davvero la volta buona. Dopo un lunghissimo periodo di tassi prossimi allo zero, la Fed pare davvero intenzionata a procedere al primo piccolo aumento. I segnali ci sono tutti e le parole pronunciate negli ultimi giorni da Janet Yellen sembrano darne la conferma. Anche il mercato del lavoro negli USA sta vivendo un periodo di crescita e l’aumento del costo del denaro a questo punto sembra davvero inevitabile. Per risalire all’ultimo ciclo di aumenti dobbiamo tornare indietro fino al 2004 quando, in una situazione economica molto differente, si ripartiva da tassi intorno all’1%.  La strada che la Fed sembra voler imboccare è comunque molto cauta: gli aumenti dovrebbero essere contenuti e graduali, spalmati attentamente nel tempo. In concreto, al termine della riunione del prossimo 16 dicembre, ci si aspetta un rialzo di mezzo punto percentuale. Per tornare all’1% di 10 anni fa, livello storicamente basso, bisognerà aspettare fine 2016, ovvero metà del 2017. Si preannuncia quindi una divergenza delle politiche monetarie: mentre la Fed annuncia una stretta, Draghi prosegue con la sua politica espansiva.

Tendenzialmente questo tipo di manovra ha un impatto positivo sui mercati azionari (a discapito di quelli obbligazionari) e sul dollaro contro l’euro, ma entrambi sono su livelli elevati. L’Euro dal suo canto sembra già aver scontato questo scenario, subendo un notevole deprezzamento nelle ultime  settimane. Non è da escludere un rimbalzo, ma la tendenza a lungo termine favorisce ancora il dollaro. 

Occhi aperti dunque per gli investitori. Le politiche monetarie di questo tipo portano sicuramente ad una crescita dell’economia, ma potrebbero anche esporre ai rischi di bolle speculative, specie quando la visione complessiva è così divergente.

mercoledì 25 novembre 2015

Legge di stabilità 2016, Italia rimandata


Legge di stabilità 2016, Italia rimandata

E' arrivata ieri a Montecitorio la Legge di Stabilità 2016, che venerdì era stata approvata, in prima lettura, dal Senato. Bruxelles aveva accolto con un certo scetticismo la Finanziaria, rimandando di fatto ogni decisione alla prossima primavera. Secondo la Commissione Europea infatti, l’Italia rischia di non rispettare il tetto del deficit previsto dal patto di stabilità. Nella Finanziaria presentata dal governo Renzi è prevista una diminuzione del deficit nominale da 2,6% al 2,3% del Pil, ma contemporaneamente un aumento di quello strutturale dall’ 1,0% all’1,5%. L’Italia chiede all’Europa maggiore flessibilità, con l’applicazione di tre clausole, per far fronte alle spese strutturali, alla spesa per investimenti e all’emergenza immigrazione.

Le intenzioni di Renzi sono chiare: l’obiettivo della Legge è di sostenere l’economia in un contesto non ancora stabile. Ma sarà una battaglia dura da portare avanti.

Gran parte delle risorse necessarie andranno reperite dall’aumento dell’obiettivo di deficit, circa 13 miliardi. Altre fonti importanti saranno la spending review (5,5 miliardi), il rientro di capitali dall’estero con la voluntary disclosure (2 mld), dal prelievo sui giochi e dalla cancellazione delle province.

Un primo spiraglio da parte della Commissione c’è e riguarda la clausola sugli investimenti, ma l’Italia rimane sotto osservazione. Secondo il ministro Padoan «la comunicazione sulla flessibilità della Commissione ha lo scopo di incentivare investimenti e riforme strutturali e l’Italia sta cogliendo questa opportunità per realizzare un programma di riforme strutturali senza precedenti».

In altre parole, L’Europa ci invita a “correggere il tiro”, ma con qualche spiraglio di magnanimità. Dombrovskis, interrogato al riguardo, ha spiegato: «La frase è standard. È da attribuire alla presenza di un rischio di deviazione significativa dell’andamento dei conti pubblici (…) Toccherà all’Italia scegliere se adottare nuove misure di riduzione del disavanzo o invece perseguire l’applicazione delle clausole di flessibilità, lavorando su riforme e investimenti». Probabilmente ci si rende conto che gli investimenti strutturali e gli obiettivi di ripresa in un paese come l’Italia, possono dare nuovo slancio all’intera zona euro.

mercoledì 4 novembre 2015

Disoccupazione in Italia ai minimi dal 2013. A settembre meno disoccupati, meno occupati, più “inattivi”.

Disoccupazione in Italia ai minimi dal 2013. 
A settembre meno disoccupati, meno occupati, più “inattivi”.

I dati diffusi da Eurostat delineano una situazione in netto miglioramento della disoccupazione in Europa. Il tasso infatti si attesta al 10,8%, il dato migliore dal lontano gennaio 2012. Il divario tra i singoli Stati è però notevole: apre la classifica la Grecia, che indossa la maglia nera con il 25%, e la chiude la Germania al 4,5%.

In Italia i dati provvisori dell’Istat fotografano a settembre un tasso di disoccupazione all’11,8%. Si tratta anche in questo caso di un buon risultato, il migliore dal mese di gennaio 2013. Un po’ sotto le aspettative il tasso di disoccupazione giovanile (persone tra i 15 e i 24 anni), con una diminuzione dello 0,2% e che si attesta al 40,5% su base annua. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha apertamente parlato del successo del Jobs Act dichiarando: «Il Jobs Act ha restituito credibilità a livello internazionale, ma soprattutto ha creato opportunità e posti di lavoro stabili. È la volta buona, l'Italia riparte.». In effetti i risultati sono incoraggianti e disegnano una tendenza che parla di ripresa.

Settembre si chiude, con una diminuzione degli occupati (-36mila) e dei disoccupati (-35mila), ma anche con un altro dato, che lascia l’amaro in bocca: il sensibile aumento nel numero dei cosiddetti “inattivi”, ovvero delle persone tra i 15 e i 64 anni che non sono, o non sono più, alla ricerca di un’occupazione. L’Italia nell’ultimo trimestre ne guadagna ben 53mila (+0,4%), arrivando a quota 264mila unità nei 12 mesi. Il tasso di occupazione è ora al 56,5%, inferiore di 3 punti a quello spagnolo e tra i peggiori d’Europa. Secondo il Centro Studi Adapt, l’aumento degli inattivi rende più complicata una ripresa in cui “solamente un terzo della popolazione ha un lavoro e deve quindi sostenere sé e altre due persone”. In altre parole, se non ci saranno intoppi, sempre secondo Adapt, per tornare ai livelli pre-crisi bisognerà attendere il 2020.

mercoledì 21 ottobre 2015

Cina, crescita più lenta dal 2009 ma migliore delle aspettative


Cina, crescita più lenta dal 2009 ma migliore delle aspettative.


Una delle notizie più attese dalle borse, dopo il "panico cinese" di agosto, era la diffusione del dato sulla crescita del Pil cinese. Gli analisti erano piuttosto scettici e si aspettavano un rallentamento della crescita, che secondo molti si sarebbe assestata tra un +6,7% e un +6,8%. I dati ufficiali, diffusi lunedì, parlano di un rialzo lievemente maggiore, del 6,9% e tanto basta per far tirare alle borse mondiali un sospiro di sollievo. Considerato che siamo ormai nel quarto trimestre inoltrato, difficilmente la Cina riuscirà a raggiungere l’obiettivo prefissato del 7%.

Si tratta del dato peggiore dal 2009, quando la crisi finanziaria ha avuto inizio. Il dato del Pil va letto insieme al dato sulla produzione industriale di settembre, diffuso lo stesso giorno dall’Ufficio Centrale di Statistica di Pechino, fissato al 5,7% su base annua. In questo caso si tratta di un risultato più basso delle attese, considerando che ci si aspettava una crescita almeno pari al 6%. Ciò spiega anche il rallentamento dei prezzi delle commodities industriali e delle azioni del settore minerario, di cui la Cina è uno dei maggiori importatori. 

Probabilmente nei prossimi mesi assisteremo ad una nuova manovra espansiva della People’s Bank of China, che nell’ultimo anno ha già diminuito per ben cinque volte i tassi di interesse, anche per contrastare il rischio deflazione.

In ogni caso, secondo molti analisti, i fondamentali di Pechino restano solidi con le spese in infrastrutture e consumi in crescita che rendono il rallentamento meno pericoloso del previsto.

Secondo altri analisti i conti non tornano siccome tanti indicatori cinesi (indice PMI, produzione industriale, import, export ...) mostrano un violento rallentamento. Generalmente viene ipotizzata una crescita del 6,5%; i pessimisti si spingono ancora più giù. 

Il problema vero è la scarsa trasparenza che alimenta fantasie che fanno male a tutti, alla Cina ed al resto del mondo. 

mercoledì 14 ottobre 2015

Dell'importanza della contabilità nazionale


Dell'importanza della contabilità nazionale

Aristotele, nel primo libro della sua opera "La politica", identifica la famiglia come il nucleo fondamentale della società e sviluppa il tema dell'economia domestica. Senza dover ricorrere ad Aristotele, sappiamo bene che in ogni famiglia il padre e/o la madre devono sapere quanto entra e quanto esce e che bisogna saper far quadrare i conti. Ancor di più - se possibile - un imprenditore deve conoscere con precisione quanto incassa e quanto spende, cioè - ancora - far quadrare i conti.

L'Italia ha oggi oltre 60milioni di abitanti; cioè milioni di famiglie e di imprese. Cosa vuol dire per l'Italia intera far quadrare i conti ? Una famiglia percepisce un reddito (lo stipendio ...) che viene speso in consumi (il pane ...) e/o investito (una casa ...). Per l'Italia intera succede la stessa cosa (si produce, consuma, investe). Qual è la differenza tra “i conti” di una famiglia e quelli di una nazione? La risposta è semplice: nessuna, solo che per l'Italia intera le cose sono un po’ più complicate. 
Innanzitutto perché ci sono, oltre a famiglie e imprese, altri soggetti, gli "enti pubblici" (Comuni, Regioni, Repubblica ....). Una parte del reddito prodotto da famiglie ed imprese è incassato dallo Stato (gli enti pubblici) con le tasse; questi soldi vengono utilizzati per l'erogazione di servizi (scuole, ospedali, strade ...) e per il pagamento di pensioni, indennità di disoccupazione ...... Inoltre c'è l'estero. Infatti non tutti i beni consumati in Italia sono prodotti in Italia e quindi è necessario importarli. Comprare da altri Paesi vuol dire, in molti casi, pagare in valute diverse dall’euro. Valuta che possiamo guadagnare con le esportazioni.

E' essenziale, quando si fanno i "conti" per l'Italia intera, fare attenzione a non contare le cose due volte. Il principio è: ogni atto economico dà luogo a due facce della stessa medaglia. Un esempio per spiegare meglio : un imprenditore che paga le tasse registra una spesa; per lo Stato - al contrario - si tratta di un’entrata. La logica è sempre quella della “partita doppia”, inventata da Fra Luca Pacioli, il padre della ragioneria. (il quadro che lo ritrae è esposto al Museo nazionale di Capodimonte a Napoli, che merita sempre una visita).

La "partita doppia" dell'Italia intera ("contabilità nazionale") ha bisogno di cifre, di elaborare miliardi di transazioni.  

In Italia chi si occupa di tutto ciò è l'Istat, che definisce la contabilità nazionale come l'insieme di tutti i conti economici che descrivono l'attività economica di un Paese o di un circoscrizione territoriale. 

Per avere un'idea suggerisco visitare il sito dell'Istat.

E' chiaro il motivo che ha spinto i creditori ad imporre alla Grecia di garantire l'indipendenza dell'istituto di statistica greco.


mercoledì 7 ottobre 2015

Ascoltare


Ascoltare


L'ultima estate la ricorderemo a lungo. Prima il panico cinese, poi la decisione sui tassi della Fed, e la maggiore incertezza su ciò che guida le decisioni di politica monetaria, infine il dieselgate di Volkswagen.

Date le premesse si sarebbe potuta scatenare una tempesta perfetta. Le Borse hanno corretto, ma i listini sono poco lontani dai valori di inizio anno. Gli investitori hanno mantenuto i nervi saldi e non si sono registrati grossi movimenti in uscita dai fondi comuni. 

I fondamentali delle principali economie restano solidi. Gli USA continuano a crescere, del 2,10% quest'anno e del 2,3% l'anno prossimo (Fed dixit); l'Unione Europea crescerà dell'1,9% quest'anno ed il prossimo (Fmi), grazie anche al QE di Draghi; per la Cina la Banca Mondiale ipotizza un + 6,9% nel 2015 ed un +6,7% nel 2016. La crescita dei paesi emergenti, nonostante il calo delle commodities - ed i particolare del petrolio, è in calo nel 2015 al 4%, per risalire al 4,5% nel 2016 (Fmi). Sono in recessione "solo" Brasile e Russia. Probabilmente, bisognerebbe soltanto rivedere gli obiettivi di crescita, che sembrano volersi attestare a livelli più bassi, ma compatibili con economie di dimensioni più grandi.

Passando alle imprese l'obiettivo è sempre lo stesso: fare utili. Domani Alcoa, come da tradizione, darà il via alla Earnings Season statunitense. Seguiranno tutte le altre. Sarà molto importante ascoltare le parole dei capo azienda, le loro previsioni su fatturato e utili; e, quindi, sui mercati di riferimento delle loro aziende. Subito dopo l’America toccherà all’Europa con i dati trimestrali, ed anche in questo caso sarà determinante ascoltare le parole dei CEO delle corporate europee, anche per capirci qualcosa in più riguardo agli effetti dello scandalo Volkswagen.

La parola d’ordine da domani sarà ascoltare. Le parole dei CEO, accompagnate dall’attuale tenuta dei mercati, potrebbero essere la spinta decisiva per il rally di Natale.


mercoledì 23 settembre 2015

La reazione negativa dei mercati sembra di breve durata



La reazione negativa dei mercati sembra di breve durata

Ancora una volta, l'ultima settimana è stata dominata dalle decisioni delle banche centrali. 

La decisione della Fed di non procedere ad un aumento dei tassi di interesse, siccome ampiamente prevista dal mercato, non è stata certamente una sorpresa. Sorprendenti sono stati invece i toni, decisamente accomodanti, utilizzati dal Presidente Yellen nel corso della conferenza stampa. La discesa del tasso di disoccupazione è stata significativamente de-enfatizzata, mentre molto più peso è stato dato alla debolezza del ciclo economico dei Paesi Emergenti e alla forza del dollaro. Allo stesso tempo è venuta meno la fiducia della FED nel centrare l’obiettivo di inflazione al 2% nel medio periodo. Guardando al futuro, un rialzo dei tassi è ora possibile a dicembre, ma è tutt’altro che certo. La una politica monetaria rimane quindi accomodante, ma la reazione dei mercati è stata negativa. Il motivo è nella maggiore incertezza su ciò che guida le decisioni di politica monetaria. Ed i mercati non amano l’incertezza. 

La BCE  ha riaffermato la propria volontà di reflazionare l’economia dell’eurozona, se necessario allungando o aumentando il programma di allentamento quantitativo.

La Banca del Giappone, pur non avendo preso alcun impegno ad un ulteriore allentamento quantitativo, abbassando le proprie stime di crescita dell’economia giapponese potrebbe adottare una politica monetaria più espansiva.

Tanto premesso, la reazione negativa dei mercati sembra di breve durata, siccome - come detto - le banche centrali globali hanno adottato nel corso degli ultimi 10 giorni un atteggiamento decisamente più espansivo. 

Volgendo lo sguardo al ciclo globale, è opportuno sottolineare che se è vero che i dati di produzione industriale nel corso dell’estate sono stati abbastanza deludenti e tendenzialmente deboli, è altrettanto vero che i dati relativi alla domanda per consumi sono stati alquanto robusti. Le vendite al dettaglio nel corso dell’estate fino ad agosto, almeno per Stati Uniti e Cina, sono uscite piuttosto solide e questo dovrebbe suggerire che la debolezza registrata dagli indicatori industriali nel corso dell’estate potrebbe rivelarsi transitoria.

mercoledì 16 settembre 2015

Il dilemma della Fed


Il dilemma della Fed

Tutti i mercati sono in attesa della decisione di domani della principale Banca centrale al mondo. La Fed, dopo nove lunghi anni di tassi a zero, si troverà a dover compiere una scelta molto difficile.

Rialzo, forse Si
I cardini del mandato del Comitato di politica monetaria della Federal Reserve sono due : la disoccupazione e l’inflazione.  Il primo obiettivo della politica monetaria della Fed è il massimo impiego (ossia una disoccupazione compressa al minimo possibile). In seconda battuta la stabilità dei prezzi con tassi di interesse moderati nel lungo termine. Ed ovviamente anche la stabilità del sistema finanziario e bancario degli Stati Uniti. 
Gli indicatori economici segnalano che è arrivato il momento di “normalizzare” la politica monetaria, ovvero avviare una fase di rialzo dei tassi.
Infatti il tasso di disoccupazione è calato dello 0,4% negli ultimi tre mesi, ed a quota 5,1% è arduo pensare non sia ad un livello di normalità. Anche i salari crescono, del 2,2%. Inoltre, è stato pubblicato il dato relativo alle nuove aperture di posizioni lavorative in USA: 430.000 nuove aperture nel mese di luglio, che porta il totale ai livelli massimi degli ultimi cinque anni, 5,75 milioni. 
Anche per l’inflazione, abbondantemente sotto i target previsti dalla Fed, i modelli econometrici utilizzati dalla Federal Reserve fanno pensare ad una normalizzazione delle dinamiche dei prezzi già l’anno prossimo.
Questi dati portano a pensare che sia ormai opportuno un rialzo tassi.  Agire oggi può consentire che il ritmo dei successivi rialzi sia graduale e limitato. Ritardare troppo il primo rialzo potrebbe favorire un surriscaldamento dell'economia costringendo la Banca centrale americana a rialzare troppo velocemente i tassi in futuro.

Rialzo, forse No
Eppure, i mercati, forse perché suppongono che la Fed non agisca in un contesto di alta volatilità, stimano a circa il 30% le probabilità di un rialzo questa settimana, ed ad oltre il 50% per la riunione di dicembre. La volatilità sui mercati finanziari è esacerbata da una crescente vulnerabilità di alcuni Paesi emergenti (da ultimo il Brasile, che ha visto tagliare recentemente il rating sovrano sotto il livello “investment grade”), che potrebbe acuirsi con l'aumento dei tassi Usa tenuto conto del volume delle emissioni obbligazionarie degli emerging proprio in Usd.
Anche il dollaro non “crede” ad un rialzo dei tassi: quota adesso circa 1,12 contro euro, ben lontano dai livelli di marzo / aprile.
Da ultimo, pochi giorni fa, Il Fondo Monetario Internazionale, visto che "fino ad ora ci sono stati scarsi segnali di pressioni sui prezzi e sui salari", consiglia la Fed di non prendere decisioni affrettate sui tassi. Posizione simile dell'OCSE, che però precisa che "il percorso del rialzo dei tassi e' quattro volte più importante per l'evoluzione del Pil della decisione della Fed di muoversi ora o tra tre mesi".


mercoledì 9 settembre 2015

Cina


Cina

Archiviato (per il momento) il problema greco, da un mese la Cina ha catturato tutta l'attenzione dei mercati.

Ad inizio settembre il dato PMI manifatturiero cinese rilevato a 49,7 (quindi sotto la soglia dell'espansione dei 50) ha scatenato una nuova ondata di vendite sui mercati azionari, nonostante in realtà questo dato fosse in linea con quanto stimava il consensus degli analisti. 

Rallenterà l'economia cinese ?  

Certamente si. È chiara la volontà del Governo di Pechino di ribilanciare l’economia a favore dei consumi interni, ed a scapito di investimenti ed esportazioni. Come già previsto dal "Piano quinquennale 2011-2015", che prevede per l'economia cinese una crescita appunto più bilanciata e sostenibile, fino al 7% annuo. Anche recentemente, all'annuncio della 5a assemblea plenaria del 18o comitato centrale, il comunicato stampa anticipa che nel prossimo "Piano quinquennale 2016-2020", probabilmente approvato nel prossimo autunno,  sarà fondamentale raggiungere una "nuova normalità", puntando ad una migliore qualità della vita e ad una minore disparità tra cittadini. La "nuova normalità" è una crescita al 7%. L'obiettivo è molto ambizioso. E' difficile "pilotare" un rallentamento economico, considerando che quest’ultimo sta spingendo al ribasso molte materie prime - sospinte al rialzo dieci anni fa – con inevitabili conseguenze negative per i molti paesi che le esportano. 

Quale sarà l'effetto sul resto del mondo? 

Due recenti analisi svolte dalla Bundesbank e dalla Banque de France, stimano l'effetto di un calo dell'1% del PIL cinese in un -0,1% in Europa e negli Stati Uniti, ed in questi ultimi un ulteriore raffreddamento dell'inflazione di 0,2-0,4% a seconda del movimento sul Yuan-Renminbi. Questi dati, pur tenendo conto degli effetti indiretti che un rallentamento cinese porterebbe (e già porta) ad altri Paesi emergenti, potrebbero però sottostimare gli effetti a catena derivanti dai movimenti dei mercati finanziari.


In conclusione, la volatilità dei mercati appare quindi eccessiva.

mercoledì 2 settembre 2015

Il rialzo del Dollaro: chi guadagna e chi perde



Il rialzo del Dollaro: chi guadagna e chi perde


Il consenso sul rialzo del dollaro è praticamente assoluto; tenuto anche conto che è sempre più probabile a breve un primo aumento dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve.

Il continuo rafforzamento della moneta statunitense, avvenuto negli ultimi mesi, rappresenta una buona notizia per Area Euro - in particolare per la Germania - e Giappone, che potrebbero fare affidamento anche su euro e yen deboli per dare nuovo slancio ai segnali di ripresa che si presentano ancora deboli. Si tratterebbe invece di una cattiva notizia per i Paesi Emergenti, i particolare per quelli che basano la loro economia sulle commodities: il prezzo delle materie prime è espresso in dollari e la sua continua risalita ne fa calare i prezzi nominali. Se teniamo conto anche del fatto che le economie emergenti sono indebitate prevalentemente nel biglietto verde, ci rendiamo conto del danno di un dollaro troppo forte.

Anche in Cina il dollaro forte non è un fatto positivo. La moneta cinese ne ha praticamente seguito l’andamento e, per un Paese che cerca di dare nuovo slancio alle esportazioni, non è certo una buona notizia. Tanto da aver costretto a metà agosto la Banca Popolare Cinese (PBoC) a svalutare il renminbi del 4,65% in 72 ore.

A leggere la storia, lo scenario potrebbe essere molto diverso. Uno studio di Thomnson Reuters e Credit Suisse traccia l’andamento del dollaro in corrispondenza dei primi tre mesi successivi all’inizio dei cicli di rialzo da parte della Fed, nel 1977, 1986, 1994, 1999 e 2004. Ebbene, in tutti i casi, la moneta americana ha perso in media il 10% del suo valore rispetto ad un paniere di valute.

A sostenere l’ipotesi di un possibile indebolimento del biglietto verde c’è anche la politica. Il dollaro forte certo non aiuta la ripresa di un’economia che, nonostante sia in crescita da ormai sei anni, non ha il vigore che ci si aspetterebbe. In America a novembre del prossimo anno si eleggerà un nuovo presidente e uno dei cavalli di battaglia dei repubblicani è la difesa dei produttori americani sui mercati mondiali.

mercoledì 5 agosto 2015

Le commodities


Le commodities


"Rame in bear market, petrolio Brent sotto quota 50 dollari" titola il 24ore del 4 agosto 2015; l'occhiello precisa che "Molti metalli non ferrosi sono a minimi pluriennali".

Circa un anno fa il petrolio ha iniziato un importante correzione che in 6 mesi ne ha dimezzato il prezzo. Il contagio si è oggi propagato ai metalli, in testa l’oro, che, dopo aver  sfiorato i 2.000 dollari l’oncia, è tornato in prossimità dei 1.000 dollari. Nella stessa direzione si muovono le commodities agricole e i minerali.

Ma cos'è una commodity ? Ecco la definizione, presa da Wikipedia, : “… è un termine inglese che indica un bene per cui c'è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato ed è fungibile, cioè il prodotto è lo stesso indipendentemente da chi lo produce, come per esempio il petrolio o i metalli.” In parole povere parliamo di prodotti agricoli,  metalli, idrocarburi, coloniali e carni.

Cosa provoca variazioni del prezzo di una commodity ? I mercati finanziari sono interconnessi ed il prezzo delle commodities dipende dall’andamento di un tasso di interesse, dell'inflazione, di una valuta, del tasso di crescita dell'economia ........
Se osserviamo il grafico dell’andamento delle commodities con una lunghissima scadenza e depuriamo i valori dall’inflazione, possiamo accorgerci che ci troviamo più o meno dove eravamo all’inizio del secolo scorso. Si tratta ovviamente di un percorso movimentato, ma con alcune certezze: le correlazioni con il dollaro americano e l’inflazione. Quando il dollaro si rafforza il prezzo delle commodities scende; al contrario aumenta con il crescere dell’inflazione.
Un altro aspetto da sempre correlato è quello dei cicli economici. Semplificando potremmo dire che le recessioni di norma seguono i rialzi delle commodities; mentre i ribassi accompagnano o anticipano la crescita economica.

Le correlazioni appena descritte sono valide, ma ogni commodity racconta una  storia diversa dalle altre
Facciamo alcuni esempi, partendo dall’oro. Il metallo prezioso per eccellenza, poco più di 10 anni fa, era quotato circa 300 dollari l’oncia. Si trattava di una forma di investimento riservata a pochi - banche e istituzioni -, mentre i piccoli risparmiatori potevano al massimo detenere monete d’oro o investire in titoli di aziende minerarie. Nel 2004, però, è avvenuto un importantissimo cambiamento: la quotazione di GLD, il primo Etf a replicare l’andamento dell’oro. Tutt’ad un tratto quindi, l’investimento in oro diventa accessibile a tutti, anche a centinaia di milioni di piccoli risparmiatori. Ed ecco che, malgrado un’inflazione praticamente assente, giunge a quotare poco meno di 2.000 dollari, per poi ritornare, in terreno più realistico, ai circa 1.000 dollari di oggi.
Vediamo ora il petrolio, che ha la correlazione più evidente con il dollaro e i cicli economici. Nell'autunno del 2001 il prezzo era inferiore ai 20 dollari al barile ed il cambio Eur/Usd al di sotto di  0,90. Sei anni dopo, nel 2008, un barile era quotato 160 dollari ed occorrevano 1,60 dollari per comprare un euro. Ma con la crisi di Lehman e la corsa all’acquisto dei T-bond americani(1),  che provoca un rafforzamento del dollaro a 1,20 Eur/Usd, il petrolio sprofonda verso i 30 dollari.

Per concludere, voglio ricordare che ogni mercato finanziario non è una realtà a sé stante, slegata dalle altre, ma parte di un sistema di relazioni complesse, che bisogna conoscere, con l'obiettivo di fare scelte consapevoli.



(1) Tra i Titoli di Stato americani ci sono i Treasury bond, abbreviato T-bond, a tasso fisso e scadenza superiore ai 10 anni.

mercoledì 29 luglio 2015

Le “nuove frontiere” dei mercati.




Le “nuove frontiere” dei mercati.




Sentiamo parlare di “mercati sviluppati”, “mercati emergenti” e “mercati di frontiera”.

Cosa vuol dire esattamente ?

In un senso strettamente di “mercato”, significa classificarli in base al rischio di investimento.

La logica vorrebbe che, se qualcuno investe in un mercato sviluppato, cioè in uno dei 32 paesi individuati dal FMI con una consolidata tradizione economico/finanziaria e solide basi democratiche, egli investa in una nazione con il top delle infrastrutture, connessioni e possibilità di business e, quindi, in un luogo meno rischioso, e quindi fruttifero, per gli investimenti.

Semplificando, quindi, chi invece investe in mercati cosiddetti “Emergenti” e “di Frontiera” è esposto a rischi geopolitici, finanziari ed economici maggiori di chi investe in mercati sviluppati, ma probabilmente con ritorni più consistenti.

Tanto premesso, quale potrebbe essere l’area geografica da aggiungere alla propria asset allocation, sempre in un’ottica di diversificazione del portafoglio ?

Una delle risposte potrebbe essere l’Africa, l’eterna promessa dell’economia mondiale. Finora il nord dell’Africa con le sue disastrose primavere arabe è stato una colossale delusione, ma nel resto del continente, a Sud del Sahara, qualcosa si sta forse finalmente muovendo. Si tratta di una vasta area che, escluso il Sud Africa, rientra tra i mercati “di frontiera”, che potrebbero offrire nei prossimi anni opportunità e ritorni molto interessanti.

Infatti, secondo i dati della Banca Mondiale, nel 2014 il 74% dei paesi dell’Africa Sub-Sahariana ha adottato almeno una riforma nel campo della libertà e della tutela delle attività economiche.

Inoltre, le elezioni in Nigeria (160milioni di abitanti) a marzo di quest’anno, dove si è riuscito a concludere in modo pacifico il passaggio di mano nella guida del governo, è un segnale forte che il lungo viaggio verso la modernizzazione e la democrazia è in corso.


I “mercati di frontiera”, e l’Africa in particolare, potrebbero essere dunque la novità dei prossimi anni.

L’industria del risparmio gestito oggi mette a disposizione degli investitori sempre più OICR, cioè fondi e sicav, specializzati sul continente africano.

Perché utilizzare un fondo/sicav ?

L’investimento in fondi/sicav comporta indubbiamente dei vantaggi per l’investitore.


Innanzi tutto, la gestione è affidata a soggetti che svolgono questo compito professionalmente. Ad essi viene affidato un mandato che li vincola a gestire il fondo seconda modalità di investimento predefinite, utilizzando le informazioni e le esperienze di cui dispongono.

Il fatto, poi, che i risparmi dei singoli confluiscano in un patrimonio di grandi dimensioni (il fondo) consente di realizzare una diversificazione degli investimenti difficilmente ottenibile direttamente dai singoli investitori, con tutti i vantaggi in termini di riduzione del rischio dell’investimento: puntare su molti titoli, infatti, è meno rischioso che puntare su pochi o, addirittura, uno solo.



mercoledì 22 luglio 2015

Jiffy: contanti in un lampo!




Jiffy: la soluzione tutta italiana per trasferire denaro tramite smartphone in tempo reale


Sei stato al ristorante con i tuoi amici e devi restituire la quota? Fai un Jiffy. Vuoi fare un regalo a tuo figlio? Ancora, fai un Jiffy. Vuoi partecipare al regalo per le nozze della tua migliore amica? Di nuovo, fai un Jiffy.


Jiffy, cash in a flash... contanti in un lampo!

Jiffy è la prima applicazione per smartphone che permette di trasferire denaro in modo sicuro, semplice e veloce, utilizzando il solo numero di cellulare per identificare il beneficiario; l'addebito e l'accredito avvengono direttamente sul conto corrente tramite un bonifico in tempo reale.

Un Jiffy è istantaneo e sicuro; il trasferimento infatti si basa sulla tecnologia SEPA, attualmente utilizzata dalle banche di tutta Europa.

Vediamo nel dettaglio come funziona. Ė sufficiente essere titolari di un conto corrente o di una carta prepagata con IBAN e fornire alla propria banca il numero di cellulare che si vuole associare a Jiffy, che sarà così collegato al nostro IBAN. A questo punto si scarica l'applicazione Jiffy e si inseriscono le credenziali di accesso, così come si fa, ad esempio, per WhatsApp. Selezionando la rubrica (le persone che già utilizzano il servizio sono contraddistinte da un’icona) potremo selezionare il destinatario, l'importo ed un eventuale messaggio. Cliccando su invio l'operazione è conclusa. Potremo inoltre invitare su Jiffy gli amici che ancora non conoscono il servizio.


Jiffy è all'attenzione di tante banche e Widiba, che si distingue per le sue innovazioni, ha appena lanciato il nuovo servizio MoviPay, che opera proprio sul sistema Jiffy di SIA.


Di seguito, in poche immagini - tratte da SIA -, come funziona: