Le fluttuazioni di mercato nell'Eurozona
Non è stato un bel modo di festeggiare le nozze d’argento. Il 25° anniversario della firma del Trattato di Maastricht, che diede vita all'idea di una moneta unica europea, è caduto il 7 febbraio, lo stesso giorno in cui il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato il suo rapporto annuale sull'economia della Grecia. Esso riportava che la maggior parte (ma non la totalità) del Consiglio era favorevole ad una maggiore riduzione del debito della Grecia, per tenerne in ordine le finanze – un’idea rapidamente accantonata dai funzionari dell’Euro-zona.
Il giorno prima, lo spread tra i bond governativi decennali in Francia e in Germania aveva raggiunto il livello più alto degli ultimi quattro anni. La causa più immediata sembrava essere la crescente preoccupazione sui rischi politici dell’Euro. François Fillon, una volta uomo di punta nella corsa alla Presidenza francese, è coinvolto in uno scandalo e sta perdendo terreno. Si teme che la sua caduta in disgrazia possa alimentare il sostegno a Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale, che propugna l’uscita della Francia dall'Euro e dall'Unione Europea.
Tuttavia dietro le fluttuazioni dei bond dell’area Euro nell'ultimo periodo c’è più che la sola attenzione alla politica. Dopo tutto, i mercati hanno minimizzato le dimissioni di Matteo Renzi a dicembre. “Non credo che ci sia un rischio politico in Europa più alto di quanto fosse un mese fa, o tre mesi fa” dichiara un esperto analista presso un grande Fondo.
Una grande influenza, invece, può avere la crescente convinzione che la Banca Centrale Europea deciderà presto di ridimensionare il suo programma di “Quantitative Easing” (QE).
La Banca Centrale Europea ha annunciato a dicembre che da aprile avrebbe ridotto l’acquisto mensile di bond, da 80 miliardi di Euro a 60 miliardi. Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, ribadiva che non si trattava di una riduzione che intendesse portare gradualmente gli acquisti a zero. Ma dai verbali della riunione della BCE tenutasi a dicembre si evince che il QE si sta avviando ad un punto morto. Si riconosce, per esempio, che c’erano rischi legali nell'accantonare la regola auto-imposta per cui la BCE non dovrebbe comprare più di un terzo del debito di ogni Paese. Questa regola pone un tetto ai Bund tedeschi che la Banca Centrale può acquistare, poiché la Germania ha un debito in riduzione. Questo è rilevante, perché la Germania ha anche la più grande economia dell’Euro-zona e gli acquisti di bond sono proporzionati al peso economico. Si andrebbe incontro a un diffuso malcontento se la BCE decidesse di comprare in proporzione più bond dei Paesi ad alto debito come l’Italia – o anche la Francia.
Ci sono altri motivi di credere che la BCE stia andando verso una riduzione del QE. L’economia dell’Eurozona è in una fase interlocutoria. Sebbene l'inflazione core, che esclude i prezzi volatili di cibo ed energia, sia ferma sotto l’1%, l’inflazione complessiva è salita decisamente e continuerà a farlo in primavera, dal momento che la forte caduta dei prezzi del petrolio registrata l’anno scorso non rientra nel tasso annuale. Il programma di QE fu concepito quando la deflazione era molto temuta. Ora che il rischio è diminuito, è più difficile per la BCE giustificare ulteriori forti acquisti di titoli, anche qualora ci fossero bond idonei da comprare.
La tendenza è chiara, e questo solleva una domanda: in mancanza di acquisti da parte della BCE, qual è il giusto spread e il rendimento dei titoli di Stato di Francia, Italia, Spagna e degli altri Paesi? E’ una considerazione di questo tipo che sta dietro la generale corsa al rialzo degli spread nell'Euro-zona nelle ultime settimane. Per ora non sembrano eccessivi. Ma se ci saranno ulteriori segnali di un ridimensionamento del QE, aspettiamoci che aumentino ancora, a prescindere dalla politica.
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