L’ economia irregolare dell’Africa sta regredendo.
Secondo Adam Smith, è comune a tutti gli uomini “la propensione a muoversi, barattare e scambiare”. Meno comune è la volontà di dichiarare tutto questo alle autorità (che hanno una propensione a registrare, regolamentare e tassare). Gli “spaza shops” del Sud Africa - cioè minimarket spesso gestiti in casa -, i “jua kali” del Kenya - termine Swahili che si riferisce al “caldo sole” sotto il quale gli artigiani tradizionalmente creavano e vendevano i loro prodotti -, o gli ambulanti senegalesi - uniti nella fitta rete della confraternita dei Mouride - , contribuiscono tutti all'economia irregolare. Questa economia sommersa, che include imprese non registrate e attività in nero di aziende regolari, è difficile da quantificare, quasi per definizione. Ma il Fondo Monetario Internazionale recentemente ha reso note nuove stime sulla sua dimensione.
Gli economisti del Fondo hanno dedotto la portata dell’economia irregolare indirettamente, basandosi su indicatori più visibili che derivano da essa ovvero determinano irregolarità (tasse alte, forte disoccupazione e carenze nello stato di diritto). Le conseguenze includono un numero di persone sospettamente basso che lavorano ufficialmente o cercano lavoro, e una maggiore richiesta di moneta, poiché le aziende irregolari operano principalmente in contanti. Infine, il Fondo Monetario Internazionale ravvisa una traccia di attività che è difficile nascondere: il bagliore delle luci di un paese di notte, ripreso dai satelliti meteorologici.
Secondo i loro risultati, l’economia irregolare equivale a circa il 40% del PIL in un Paese medio dell’Africa sub-Sahariana. E’ una cifra considerevole, ma non tanto quanto lo era negli anni ’90 (circa il 45%). In verità il tasso d’irregolarità può essere ora più basso di quello dell’America Latina (la media africana nasconde un divario ampio, tra meno del 25% del PIL alle Mauritius e in Sud Africa a circa il 65% in Nigeria).
Alcuni politici vedono le imprese irregolari come parassiti che approfittano, a danno dei rivali scrupolosi che rispettano le regole e pagano le tasse. Altri le considerano ambiziose, capaci di incarnare lo spirito imprenditoriale dei poveri e le loro speranze per il futuro. Spesso queste aziende non sono né l’una , né l’altra cosa. Sono semplicemente i datori di lavoro da ultima speranza, per persone con poche alternative. Nell'Africa sub-Sahariana, circa un terzo di coloro che avviano un’impresa lo fanno per necessità e non per scelta, una percentuale più alta che in altre economie emergenti. Molti si rifugiano nell'economia sommersa per sfuggire alla miseria, non alle regole o alla proletarizzazione.
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