sabato 1 ottobre 2016

Starnuti cinesi


Starnuti cinesi


Gli investitori da tempo diffidano degli starnuti dell’America, sapendo che possono far venire il raffreddore al mondo. Anche in Asia ci si agita per la rinite cinese, che si sta dimostrando altrettanto contagiosa. Per gli epidemiologi finanziari tutto ciò assomiglia ad un puzzle. C'è da aspettarsi che i germi si possano propagare dalla Cina, la maggiore economia asiatica, ad altri Paesi vicini; ma è davvero sorprendente come si stiano rivelando contagiosi.

A differenza dell’America, invischiata nei mercati globali, l’economia della Cina è in una quarantena auto-imposta, protetta da controlli sui movimenti di capitali che limitano le sue interazioni con gli altri. Tuttavia, l’impatto cinese sui mercati borsistici asiatici ha ora quasi la stessa potenza di quello americano.

Due recenti documenti, uno del Fondo Monetario Internazionale e uno della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), rivelano la portata del cambiamento nell’ultimo decennio. Il Fondo Monetario Internazionale stima che la correlazione tra il mercato azionario cinese e quello di altri Paesi asiatici è salita a più dello 0.3% da giugno dell’anno scorso (1 sarebbe la correlazione “perfetta”), il doppio del livello del periodo precedente la crisi finanziaria globale. Siamo ancora al di sotto dello 0.4 della correlazione tra America e Asia, ma il gap si sta riducendo rapidamente. Secondo la BRI, i titoli asiatici seguono le oscillazioni nel mercato cinese più da vicino (di circa il 60%) da quando c’è la crisi.

Gli investitori sapevano già che i problemi della Cina potevano estendersi nei mercati asiatici e, addirittura, globali. Quando le azioni cinesi sono crollate, l’estate scorsa e agli inizi di quest’anno, quasi dappertutto è accaduta la stessa cosa. E quando la Cina ha svalutato lo yuan del 2% nell’agosto 2015, le valute di altri mercati hanno subìto il contraccolpo. Il Fondo Monetario Internazionale ha calcolato che la correlazione tra le monete asiatiche e lo yuan è ora superiore allo 0.2, il doppio del livello pre-2008.

Entrambi gli studi indicano il peso dell’economia cinese come principale fattore determinante delle crescenti correlazioni. I dati mostrano che i Paesi asiatici con i più forti legami commerciali con la Cina sono quelli più condizionati dalle sue mosse di mercato. Lì è più probabile che gli investitori detengano azioni in aziende che vendono molti prodotti alla Cina; sono comprensibilmente allarmati quando i cali del mercato borsistico fanno ritenere che l’economia cinese sia in difficoltà. E il deprezzamento dello yuan, unitamente ai segnali di debolezza economica, rende meno conveniente per coloro che vivono in Cina acquistare prodotti dall’estero.

Il commercio, comunque, non è il solo veicolo di trasmissione. I legami finanziari ora giustificano circa i 2/5 delle correlazioni tra la Cina e gli altri mercati asiatici, in aumento rispetto al quasi zero di prima del 2008. Nonostante i controlli sui capitali, la Cina ha aperto canali che permettono agli investitori di comprare le sue azioni o dare prestiti alle sue aziende. Questi investimenti possono apparire piccoli in rapporto alla dimensione dell’economia cinese, ma la ricchezza attuale della Cina è tale che essi risultano ingenti in termini assoluti.

Azioni e obbligazioni cinesi detenute all’estero valgono circa 2 trilioni di dollari, più che per ogni altro mercato emergente. Gli investitori asiatici sono stati particolarmente audaci: gli impieghi su Cina e Hong-Kong  valgono più del 10% del PIL per la Corea del Sud, Taiwan e Singapore. Poiché i controlli sui capitali si sono allentati, queste connessioni finanziarie non potranno che approfondirsi. Per adesso il mercato obbligazionario della Cina esiste in un universo a sé stante. Quando lo yuan diventerà una valuta di finanziamento per gli altri, i tassi d’interesse cinesi influenzeranno quelli asiatici.

Come fa notare la BRI, correlazioni più strette in Asia sarebbero ben accolte. Negli ultimi anni i mercati di tutto il mondo hanno manifestato la tendenza a muoversi nella stessa direzione, rendendo più difficile agli investitori diversificare. Col proliferare delle holding internazionali in Asia, con la Cina come punto focale, c’è la reale possibilità che i cicli finanziari in Asia trovino il loro ritmo, differenziandosi dalle altre zone del mondo. La Cina e l’America soffriranno ancora di attacchi di starnuti: con un po’ di fortuna, prenderanno il raffreddore in tempi diversi.

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