mercoledì 25 novembre 2015

Legge di stabilità 2016, Italia rimandata


Legge di stabilità 2016, Italia rimandata

E' arrivata ieri a Montecitorio la Legge di Stabilità 2016, che venerdì era stata approvata, in prima lettura, dal Senato. Bruxelles aveva accolto con un certo scetticismo la Finanziaria, rimandando di fatto ogni decisione alla prossima primavera. Secondo la Commissione Europea infatti, l’Italia rischia di non rispettare il tetto del deficit previsto dal patto di stabilità. Nella Finanziaria presentata dal governo Renzi è prevista una diminuzione del deficit nominale da 2,6% al 2,3% del Pil, ma contemporaneamente un aumento di quello strutturale dall’ 1,0% all’1,5%. L’Italia chiede all’Europa maggiore flessibilità, con l’applicazione di tre clausole, per far fronte alle spese strutturali, alla spesa per investimenti e all’emergenza immigrazione.

Le intenzioni di Renzi sono chiare: l’obiettivo della Legge è di sostenere l’economia in un contesto non ancora stabile. Ma sarà una battaglia dura da portare avanti.

Gran parte delle risorse necessarie andranno reperite dall’aumento dell’obiettivo di deficit, circa 13 miliardi. Altre fonti importanti saranno la spending review (5,5 miliardi), il rientro di capitali dall’estero con la voluntary disclosure (2 mld), dal prelievo sui giochi e dalla cancellazione delle province.

Un primo spiraglio da parte della Commissione c’è e riguarda la clausola sugli investimenti, ma l’Italia rimane sotto osservazione. Secondo il ministro Padoan «la comunicazione sulla flessibilità della Commissione ha lo scopo di incentivare investimenti e riforme strutturali e l’Italia sta cogliendo questa opportunità per realizzare un programma di riforme strutturali senza precedenti».

In altre parole, L’Europa ci invita a “correggere il tiro”, ma con qualche spiraglio di magnanimità. Dombrovskis, interrogato al riguardo, ha spiegato: «La frase è standard. È da attribuire alla presenza di un rischio di deviazione significativa dell’andamento dei conti pubblici (…) Toccherà all’Italia scegliere se adottare nuove misure di riduzione del disavanzo o invece perseguire l’applicazione delle clausole di flessibilità, lavorando su riforme e investimenti». Probabilmente ci si rende conto che gli investimenti strutturali e gli obiettivi di ripresa in un paese come l’Italia, possono dare nuovo slancio all’intera zona euro.

mercoledì 4 novembre 2015

Disoccupazione in Italia ai minimi dal 2013. A settembre meno disoccupati, meno occupati, più “inattivi”.

Disoccupazione in Italia ai minimi dal 2013. 
A settembre meno disoccupati, meno occupati, più “inattivi”.

I dati diffusi da Eurostat delineano una situazione in netto miglioramento della disoccupazione in Europa. Il tasso infatti si attesta al 10,8%, il dato migliore dal lontano gennaio 2012. Il divario tra i singoli Stati è però notevole: apre la classifica la Grecia, che indossa la maglia nera con il 25%, e la chiude la Germania al 4,5%.

In Italia i dati provvisori dell’Istat fotografano a settembre un tasso di disoccupazione all’11,8%. Si tratta anche in questo caso di un buon risultato, il migliore dal mese di gennaio 2013. Un po’ sotto le aspettative il tasso di disoccupazione giovanile (persone tra i 15 e i 24 anni), con una diminuzione dello 0,2% e che si attesta al 40,5% su base annua. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha apertamente parlato del successo del Jobs Act dichiarando: «Il Jobs Act ha restituito credibilità a livello internazionale, ma soprattutto ha creato opportunità e posti di lavoro stabili. È la volta buona, l'Italia riparte.». In effetti i risultati sono incoraggianti e disegnano una tendenza che parla di ripresa.

Settembre si chiude, con una diminuzione degli occupati (-36mila) e dei disoccupati (-35mila), ma anche con un altro dato, che lascia l’amaro in bocca: il sensibile aumento nel numero dei cosiddetti “inattivi”, ovvero delle persone tra i 15 e i 64 anni che non sono, o non sono più, alla ricerca di un’occupazione. L’Italia nell’ultimo trimestre ne guadagna ben 53mila (+0,4%), arrivando a quota 264mila unità nei 12 mesi. Il tasso di occupazione è ora al 56,5%, inferiore di 3 punti a quello spagnolo e tra i peggiori d’Europa. Secondo il Centro Studi Adapt, l’aumento degli inattivi rende più complicata una ripresa in cui “solamente un terzo della popolazione ha un lavoro e deve quindi sostenere sé e altre due persone”. In altre parole, se non ci saranno intoppi, sempre secondo Adapt, per tornare ai livelli pre-crisi bisognerà attendere il 2020.