mercoledì 16 settembre 2015

Il dilemma della Fed


Il dilemma della Fed

Tutti i mercati sono in attesa della decisione di domani della principale Banca centrale al mondo. La Fed, dopo nove lunghi anni di tassi a zero, si troverà a dover compiere una scelta molto difficile.

Rialzo, forse Si
I cardini del mandato del Comitato di politica monetaria della Federal Reserve sono due : la disoccupazione e l’inflazione.  Il primo obiettivo della politica monetaria della Fed è il massimo impiego (ossia una disoccupazione compressa al minimo possibile). In seconda battuta la stabilità dei prezzi con tassi di interesse moderati nel lungo termine. Ed ovviamente anche la stabilità del sistema finanziario e bancario degli Stati Uniti. 
Gli indicatori economici segnalano che è arrivato il momento di “normalizzare” la politica monetaria, ovvero avviare una fase di rialzo dei tassi.
Infatti il tasso di disoccupazione è calato dello 0,4% negli ultimi tre mesi, ed a quota 5,1% è arduo pensare non sia ad un livello di normalità. Anche i salari crescono, del 2,2%. Inoltre, è stato pubblicato il dato relativo alle nuove aperture di posizioni lavorative in USA: 430.000 nuove aperture nel mese di luglio, che porta il totale ai livelli massimi degli ultimi cinque anni, 5,75 milioni. 
Anche per l’inflazione, abbondantemente sotto i target previsti dalla Fed, i modelli econometrici utilizzati dalla Federal Reserve fanno pensare ad una normalizzazione delle dinamiche dei prezzi già l’anno prossimo.
Questi dati portano a pensare che sia ormai opportuno un rialzo tassi.  Agire oggi può consentire che il ritmo dei successivi rialzi sia graduale e limitato. Ritardare troppo il primo rialzo potrebbe favorire un surriscaldamento dell'economia costringendo la Banca centrale americana a rialzare troppo velocemente i tassi in futuro.

Rialzo, forse No
Eppure, i mercati, forse perché suppongono che la Fed non agisca in un contesto di alta volatilità, stimano a circa il 30% le probabilità di un rialzo questa settimana, ed ad oltre il 50% per la riunione di dicembre. La volatilità sui mercati finanziari è esacerbata da una crescente vulnerabilità di alcuni Paesi emergenti (da ultimo il Brasile, che ha visto tagliare recentemente il rating sovrano sotto il livello “investment grade”), che potrebbe acuirsi con l'aumento dei tassi Usa tenuto conto del volume delle emissioni obbligazionarie degli emerging proprio in Usd.
Anche il dollaro non “crede” ad un rialzo dei tassi: quota adesso circa 1,12 contro euro, ben lontano dai livelli di marzo / aprile.
Da ultimo, pochi giorni fa, Il Fondo Monetario Internazionale, visto che "fino ad ora ci sono stati scarsi segnali di pressioni sui prezzi e sui salari", consiglia la Fed di non prendere decisioni affrettate sui tassi. Posizione simile dell'OCSE, che però precisa che "il percorso del rialzo dei tassi e' quattro volte più importante per l'evoluzione del Pil della decisione della Fed di muoversi ora o tra tre mesi".


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